1

COVID-19: contratti pendenti, agevolazioni creditizie e fiscali, misure a sostegno della continuità aziendale. Aggiornamento al cd. “Decreto Liquidità”

Il diffondersi del COVID-19 sul territorio nazionale, ed i provvedimenti emanati dal Governo al fine contenere e gestire l’emergenza epidemiologica, hanno impattato in maniera improvvisa e profonda sulla operatività delle imprese, seppur con diversi gradi di intensità a seconda dei differenti comparti produttivi e merceologici. 

 In questi giorni convulsi, lo Studio Giovannelli, che ha allestito un apposito gruppo di lavoro, ha dunque concentrato la propria attività nel rispondere ai quesiti, rivolti dai propri Clienti, aventi ad oggetto gli effetti dei provvedimenti emergenziali sui rapporti in essere, nonché le misure da adottare al fine di mitigare gli effetti negativi derivanti dalle particolari contingenze.

In un momento in cui i Professionisti sono chiamati ad intensificare la propria assistenza in favore delle imprese, che si trovano a dover fronteggiare problematiche inedite, riteniamo di fare cosa gradita nel sintetizzare di seguito gli spunti e le risposte cui siamo addivenuti nelle scorse due settimane.

Restando, ovviamente, sempre a disposizione per ogni chiarimento e approfondimento. 

 

Rapporti con i clienti

  1. Com’è noto, il DPCM del 22 marzo 2020, completando il lock down già previsto per la gran parte delle attività commerciali (DPCM 11 marzo 2020 e ordinanza del Ministro della Salute del 20 marzo 2020), ha disposto la sospensione di tutte le attività produttive non ritenute “essenziali”, consentendo dunque la prosecuzione delle sole attività: (i) rientranti in uno dei codici ATECO elencati nell’allegato 1 al predetto provvedimento (elenco poi ulteriormente modificato con il successivo decreto del MISE del 25 marzo 2020); (ii) funzionali a consentire la continuità delle filiere delle attività essenziali, nonché dei servizi di pubblica utilità, oltre che le attività degli impianti a ciclo continuo, in tutti questi casi previa comunicazione al Prefetto; (iii) ovviamente, che possono essere svolte secondo modalità di lavoro agile.
  1. Un primo profilo riguarda le imprese la cui operatività si trova ad essere formalmente sospesa, non rientrando in nessuna delle predette categorie (si pensi ad esempio, alle gran parte delle aziende rientranti nella filiera del tessile), e che si trovano nella oggettiva impossibilità di evadere le richieste e gli ordinativi ricevuti dai propri clienti prima dello scoppio dell’emergenza.  

 

In tali casi, non vi è dubbio che la mancata esecuzione della prestazione nei termini contrattualmente stabiliti dipenda dai divieti emanati dall’Autorità Governativa, sopravvenuti rispetto al conferimento dell’ordine e in alcun modo prevedibili nel momento in cui l’ordine è stato accettato (c.d. factum principis): l’impresa, pertanto, è senz’altro inadempiente, ma l’inadempimento dipende da causa non imputabile ed è pertanto escluso ogni risarcimento, ai sensi dell’art. 1218 del Codice Civile. 

In posizione sostanzialmente analoga si trovano quelle imprese che, pur svolgendo attività astrattamente consentite in base ai citati provvedimenti, hanno subito un notevole rallentamento operativo in via indiretta, o perché devono approvvigionarsi, di beni o servizi, da altri operatori che hanno sospeso o rallentato la propria attività, o perché comunque hanno risentito in altro modo dell’emergenza in atto (è il caso dell’impresa che vede propri dipendenti chiave impossibilitati a rendere la prestazione lavorativa, perché ad esempio in quarantena).

La conclusione non può che essere analoga, nel senso della esclusione del risarcimento, anche se la presunzione di colpevolezza dell’inadempimento, per essere superata, richiederà una puntuale ricostruzione del fatto concreto; in tal senso, si deve leggere anche l’art. 91 del D.L. 17 marzo 2020 (c.d. “Cura Italia”), che così dispone “Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente  decreto  e’  sempre  valutata  ai  fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti  degli  articoli  1218  e 1223 c.c., della responsabilità del  debitore, anche  relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.

  1. Si segnala, peraltro, che il MISE, con circolare del 25 marzo 2020, ha fornito a tutte le Camere di Commercio indicazioni affinché queste, su richiesta delle imprese iscritte, rilascino apposite dichiarazioni attestanti la sussistenza in Italia dello stato d’emergenza, così da consentire il rispetto delle pattuizioni, sovente inserite nei contratti di fornitura in essere con l’estero, che richiedono apposite certificazioni al fine di consentire al contraente di invocare la forza maggiore ai fini della esclusione della colpevolezza dell’inadempimento.  
  1. Ferma dunque la ragionevole esclusione di conseguenze risarcitorie, ci è stato chiesto se i menzionati provvedimenti governativi, e le misure con essi disposte, possano altresì tradursi nel definitivo venir meno del rapporto e dunque – per utilizzate una espressione atecnica ma comprensibile – possano giustificare l’eventuale decisione del committente di “annullare” l’ordine eventualmente accettato dall’impresa.  

 

Tale effetto non è espressamente disciplinato dai provvedimenti emergenziali, e dunque deve essere eventualmente ricavato dai principi generali, ed in particolare dall’art. 1256 del Codice Civile, che disciplina l’impossibilità sopravvenuta della prestazione derivante da evento esterno ed imprevedibile secondo l’ordinaria diligenza. 

Tale impossibilità, prevede la norma, può essere definitiva o temporanea.

L’impossibilità derivante dai citati provvedimenti emergenziali deve essere qualificata come temporanea, posto che gli stessi sanciscono, semplicemente, la sospensione di determinate attività, non anche la definitiva impossibilità di svolgerle in futuro.

Pertanto, ai sensi dell’art. 1256 del Codice Civile, il rapporto verrebbe ad estinguersi solo laddove l’impossibilità perduri fino a quando colui che ha diritto a ricevere la prestazione (ossia il cliente dell’impresa, nel caso esaminato) non avrà più interesse a conseguirla.

  1. Tale potrebbe essere il caso della fornitura di tessuti funzionali alla realizzazione di capi per una determinata collezione, la cui messa in vendita potrebbe essere difficilmente posticipata alla stagione successiva.

 

Da quanto ci viene riferito, tale fattispecie si sta frequentemente verificando nella pratica, con molteplici richieste di “annullamento” provenienti dall’estero, e grave nocumento per le imprese che, in vista dell’evasione degli ordini, già hanno sostenuto ingenti costi, specie per l’approvvigionamento di materie prime non sempre riutilizzabili.

Per tale ipotesi, ferme le difese ordinarie relative al venir meno dell’interesse del cliente (che autorizzerebbe lo scioglimento, ma che potrebbe evidentemente essere contestato alla luce del pregresso svolgimento dei rapporti tra le parti), e pur nella assenza di specifici precedenti sul punto, non escludiamo che l’assoluta eccezionalità, ed anzi del carattere inedito, degli eventi possa autorizzare, nei rapporti tra le imprese, applicazioni originali dei principi di buona fede ed integrazione equitativa del contratto, di cui agli artt. 1375 e 1374 del Codice Civile, nel senso di una redistribuzione del rischio d’impresa tra fornitore e cliente, cosicché anche quest’ultimo debba essere tenuto ad una compartecipazione ai costi sostenuti.

D’altra parte, nell’esempio delineato, il cliente è ben consapevole dei predetti costi e della necessità che gli stessi vengano sostenuti con largo anticipo dal fornitore, per consentire la puntuale evasione della commessa, ed allo stesso tempo è certamente corretta e conforme a buona fede la condotta del fornitore che tali costi abbia già sostenuto.

Tutto questo sempre che, ovviamente, il processo di realizzazione del prodotto, al momento del lock down, non fosse giunto ad una fase così avanzata da poter prospettare una impossibilità non totale, ma solo parziale, del contratto, ai sensi dell’art. 1464 del Codice Civile, con conseguente diritto al corrispettivo, seppur ridotto. 

Argomenti, quelli prospettati, che certamente possono essere utilizzati anche nell’attuale fase emergenziale, al fine di replicare alle richieste di “annullamento” dei clienti, e quindi ottenereuna rinegoziazione dei termini.  

  1. Sul versante opposto, ed anche laddove il cliente mantenga un interesse alla fruizione della prestazione nonostante la sospensione temporanea dell’attività, ci è stato chiesto se possa essere l’impresa a valutare l’opportunità di sciogliersi dagli impegni assunti, invocando la risoluzione per eccessiva onerosità ai sensi dell’art. 1467 del Codice Civile.

 

Sebbene siano da considerarsi certamente sussistenti gli “avvenimenti straordinari ed imprevedibili” previsti dalla norma, appare difficilmente configurabile una sproporzione tra le prestazioni che sia direttamente imputabile a tali avvenimenti.

In altri termini, il temporaneo fermo produttivo, nonostante i costi fissi che, almeno in parte, continuano a maturare durante tale periodo, non sembra comunque idoneo a determinare un incremento dei costi di produzione così rilevante da consentire l’attivazione della norma; evidentemente, laddove la soluzione di stallo dovesse perdurare, la conclusione potrebbe essere rivalutata.   

Medesime considerazioni nell’ipotesi in cui il rapporto debba qualificarsi come appalto, ove – si rammenta –  ai sensi dell’art. 1664 del Codice Civile, l’appaltatore ha diritto ad una revisione del prezzo solo laddove si siano verificati, per circostanze imprevedibili, aumenti del costo dei materiali e della mano d’opera tali da determinare un aumento del prezzo complessivo convenuto superiore ad un decimo: solo in tal caso può essere accordata la revisione, per la parte eccedente il decimo.

Astrattamente, si potrebbe ipotizzare l’applicazione delle predette norme – quella generale, oppure la specifica disciplina dell’appalto, laddove si rientri in tale ipotesi – in relazione a particolari prodotti, per la realizzazione dei quali sono richieste materie prime che hanno conosciuto, nell’ultimo periodo, repentini e rilevanti incrementi di costo: si pensi ai gel disinfettati a base di alcool; in tal caso, riteniamo che il produttore potrebbe avere validi argomenti per sciogliersi dagli impegni assunti prima dello scoppio dell’emergenza, o comunque rinegoziare le condizioni di prezzo. 

  1. Si segnala infine un’ultima ipotesi, verificatasi in concreto, in relazione ad attività non solo non oggetto di sospensione, ma addirittura incentivata dai recenti provvedimenti, oltre che di interesse per numerose imprese che, proprio al fine di non interrompere la propria attività, hanno riconvertito la propria produzione al fine di realizzare “mascherine” ed altri dispositivi di protezione individuale (c.d. DPI).

 

Si deve al riguardo rammentare come la commercializzazione di tali beni sia “libera” esclusivamente sul territorio nazionale. 

Infatti, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza deliberata dal DPCM 31 gennaio 2020, l’art. 1 comma 1 dell’ordinanza del dipartimento della protezione civile n. 639 del 25.2.2020 ha vietato l’esportazione di “DPI fuori dal territorio nazionale senza previa autorizzazione del Dipartimento della protezione civile”.

In base al primo periodo del medesimo art. 1, i DPI di cui è vietata l’esportazione dovrebbero essere solo i DPI richiamati nella circolare del Ministero della Salute n. 4373 del 12 febbraio 2020, la quale a sua volta elenca i seguenti dispositivi:

  • Mascherine FFP di classe FFP2 o superiori;
  • Occhiali e visiere mediche di protezione;
  • Tute di protezione modello Tychem C o grembiuli di plastica monouso
  • Guanti di protezione.

 

Per questi prodotti vige sicuramente il divieto di esportazione senza l’espressa autorizzazione del Dipartimento della Protezione Civile. 

Si segnala tuttavia come l’Agenzia delle Dogane, con il decreto Direttoriale 93201/RU del 17.3.2020, sembrerebbe essersi orientata nel senso di un allargamento del perimetro del divieto anche ad altre tipologie di DPI, motivo per cui, in ottica prudenziale, si suggerisce comunque di richiedere ed ottenere l’autorizzazione di cui sopra.

Segnaliamo, infine, che l’Ordinanza n. 639 stabilisce inoltre che le imprese che producono o distribuiscono le tipologie di prodotti  di cui alla circolare 4373 del Ministero della Salute debbano comunicare, quotidianamente, numero e tipologia dei dispositivi prodotti, anche se fabbricati esclusivamente per il consumo nazionale.

 

Rapporti con i fornitori

  1. Relativamente ai rapporti con i propri fornitori, laddove l’attività di questi rientri nelle attività sospese ai sensi della normativa emergenziale, valgono le considerazioni svolte al precedente paragrafo: è da escludere il risarcimento, mentre il rapporto è da ritenersi venuto meno solo laddove l’impresa avesse un interesse, qualificato a dimostrabile, a ricevere la prestazione entro un dato termine, che non può essere rispettato stante la sospensione delle attività.
  1. Quando invece la fornitura è comunque possibile (è il caso del fornitore estero che non incontri limitazioni alla spedizione in Italia), non è tuttavia da escludere che sia l’impresa, che appunto ha effettuato l’ordine, a trovarsi nella sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della stessa nell’ambito della propria attività: si pensi al prodotto destinato ad essere utilizzato nell’ambito di una attività produttiva ad oggi sospesa.

Anche in tale ipotesi, partendo da quanto previsto dagli artt. 1256, 1463 e 1464 del Codice Civile, è configurabile la irrealizzabilità della causa concreta del contratto, dello scopo perseguito dalle parti con la conclusione dello stesso, e pertanto la risoluzione del rapporto in via sopravvenuta.

Tale principio, elaborato dalla giurisprudenza con riferimento alla mancata fruizione di pacchetti turistici, pare suscettibile di essere esteso anche ad altri ambiti, a condizione che l’impossibilità di utilizzazione della prestazione si manifesti in via definitiva ed insuperabile.

In altri termini, non si ritiene sufficiente che il prodotto, eventualmente ordinato dall’impresa, sia per il momento non utilizzabile stante la sospensione dell’attività, potendo eventualmente essere utilizzato alla ripresa, una volta cessate le misure di lock down; diversamente, laddove il prodotto fosse funzionale ad evadere un certo ordine, annullato stanti le particolari contingenze, è sostenibile la risoluzione in via sopravvenuta. 

  1. L’attuale contingenza avrà evidenti ricadute anche sui rapporti di locazione di immobili ad uso commerciale e produttivo: da un lato le imprese, che vedono sospesa la propria attività e che potrebbero evocare l’impossibilità sopravvenuta per chiedere una sospensione totale del canone, o comunque parziale ai sensi dell’art. 1467 del Codice Civile; dall’altro i proprietari degli immobili che, aderendo a tale prospettazione, si troverebbero a dover sopportare, in ultima analisi, gli effetti della situazione emergenziale che stiamo vivendo.

 

Non vi sono, a nostro avviso, risposte univoche, dovendosi considerare, volta per volta, la fattispecie concreta e quindi se la sospensione dell’attività sia stata totale o parziale, per quanto tempo essa si sia protratta, se la chiusura dell’azienda sia stata necessitata o se essa dipenda da una scelta di opportunità potendo, ad esempio, essere proseguita una delle attività consentite. 

Allo stato, in considerazione della temporaneità dei provvedimenti ad oggi emanati, pare comunque doversi ragionevolmente escludere che risulti maturato in capo ai conduttori il diritto ad ottenere lo scioglimento immediato del contratto, o la rinegoziazione del canone dovuto fino alla naturale scadenza dello stesso, trattandosi peraltro di rapporti aventi durata necessariamente pluriennale. 

Medesime considerazioni per la configurabilità dei “gravi motivi” di recesso di cui all’art. 27, comma 8, L. 392/1978, dovendosi comunque rammentare come, anche a voler ritenere esercitabile il recesso, il conduttore sarebbe comunque tenuto a rispettare il termine di preavviso di 6 mesi, durante i quali l’obbligo di pagamento del canone dovrebbe comunque essere adempiuto (salvo vi siano gli estremi per la sospensione parziale di cui sopra).  

In questo quadro, in costante evoluzione, dovrà essere tenuto conto degli interventi da parte dello Stato, se e in quale misura si faranno carico dei problemi delle imprese.

  1. A tal proposito, l’art. 65 del decreto Cura Italia ha riconosciuto ai soggetti esercenti attività d’impresa, per l’anno 2020, un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1.

 

Pertanto, per le attività commerciali oggetto di lock down, viene riconosciuto il principio della parziale utilizzazione, le cui conseguenze negative non vengono a gravare né sul locatore (che dovrebbe continuare a percepire l’intero canone), né sul conduttore (che appunto usufruisce del credito d’imposta per la misura corrispondente).

Diversamente, per le attività comunque sospese ma non interessate dal beneficio fiscale, si auspica un intervento volto ad eliminare disparità di trattamento tra le varie categorie di conduttori e locatori.

 

Rapporti con gli istituti di credito e misure a sostegno della liquidità

  1. Al fine di ridurre l’impatto economico delle misure di contrasto alla diffusione del COVID-19, ed in particolare della crisi di liquidità che le imprese potrebbero sperimentare nel breve-medio periodo, il decreto Cura Italia e, soprattutto, il decreto 8 aprile 2020, n. 23 (cd. “Decreto Liquidità”), ha approntato una serie di strumenti a sostegno degli imprenditori.

 

Si precisa sin da ora che le misure adottate dal Legislatore non comportano una immissione diretta di liquidità, ma sono volte a favorire il ricorso al prestito bancario da parte delle imprese, mediante la prestazione di garanzie da parte del Fondo di Garanzia per le piccole medie imprese e di SACE S.p.A. (posta, per tutta la durata dell’emergenza, sotto il controllo diretto del Ministero dell’Economia). 

Con riferimento alla garanzia prestata dal Fondo per le piccole medie imprese, l’art. 49 del decreto Cura Italia, prima, e l’art. 13 del Decreto Liquidità, adesso, ha previsto che il Fondo può prestare garanzia, a titolo gratuito, anche a imprese che, pur non rientrando nella definizione di PMI, impiegano fino a 499 dipendenti.

Tale garanzia, entro un importo massimo pari a € 5 milioni per singola impresa, può andare a coprire:

(i) per gli interventi in garanzia diretta fino al 90% dell’importo della singola operazione finanziaria;

(ii) per gli interventi in riassicurazione fino al 100% dell’importo garantito in via diretta dal Confidi o da altro fondo di garanzia (purché la garanzia diretta rispetti la percentuale massima di copertura del 90% di cui sopra).

 

Si segnala che le operazioni finanziarie che possono essere garantite dal Fondo sono soltanto quelle di durata fino a 72 mesi e che la garanzia, oltre al limite generale di € 5 milioni di cui sopra, non può superare il minore tra i seguenti importi:

o   il doppio della spesa salariale annua per l’ultimo anno disponibile (per le società costituite a partire dal 1 gennaio 2019, il riferimento è ai costi salariali previsti per i primi due anni di attività);

o   il 25% del fatturato totale della società beneficiaria per l’anno 2019;

o   il fabbisogno per costi del capitale di esercizio e per costi di investimento nei successivi 18 mesi per le PMI e nei successivi 12 mesi per le società che, pur non essendo PMI, impiegano fino a 499 dipendenti (il fabbisogno deve essere dichiarato, tramite autocertificazione, dal legale rappresentante della società beneficiaria);

 

Inoltre, sono ammissibili alla garanzia del fondo, con copertura del 100% sia per le garanzie dirette che per le riassicurazioni, i nuovi finanziamenti concessi dagli istituti di credito in favore di PMI e di persone fisiche esercenti attività d’impresa, arti o professioni, la cui attività imprenditoriale è stata danneggiata dall’emergenza COVID-19 (previa dichiarazione sostitutiva ex art. 47 DPR 445/2000), purché detti finanziamenti:

o   prevedano che il rimborso degli importi in linea capitale sia previsto per non prima di 24 mesi dall’erogazione;

o   abbiano una durata non superiore a 72 mesi;

o   abbiano un importo non superiore al 25% dell’ammontare dei ricavi risultanti dall’ultimo bilancio o dall’ultima dichiarazione dei redditi del soggetto beneficiario (o da autocertificazione per le imprese costituite a partire dal 1 gennaio 2019) e comunque non superiore ad € 25.000,00.

 

La garanzia può essere concessa anche a quelle imprese che, alla data di presentazione della relativa domanda, risultino classificate dall’istituto di credito finanziatore come “inadempienze probabili” o “scadute o sconfinanti deteriorate” (tuttavia, per avere accesso alla garanzia le imprese non possono presentare esposizioni classificate come “sofferenze” dal sistema bancario) purché tale classificazione non sia stata applicata prima del 31 gennaio 2020. La garanzia, inoltre, potrebbe essere concessa, previa istruttoria da parte dell’istituto di credito che accerti una ragionevole aspettativa di integrale rimborso del prestito, anche alle imprese che, in data successiva al 31 dicembre 2019, siano state ammesse ad una procedura di concordato con continuità aziendale, o abbiano stipulato un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall. o abbiano presentato un piano attestato di risanamento.

Si segnala infine che, con riferimento anche alle garanzie già prestate dal Fondo, qualora gli istituti di credito concedano, anche su base volontaria, una sospensione dei pagamenti dovuti dall’impresa, la durata della garanzia concessa dal Fondo è automaticamente estensa di conseguenza.

Si segnala che in data 14 aprile 2020 le suddette misure sono state approvate dalla Commissione Europea e risultano pertanto già operative.

  1. Oltre a rafforzare le misure già introdotte con il decreto Cura Italia per favorire il ricorso al Fondo di Garanzia, il Decreto Liquidità ha previsto ulteriori strumenti volti a garantire liquidità alle imprese, stabilendo che fino al 31 dicembre 2020 SACE S.p.A. presti garanzie in favore degli istituti di credito per finanziamenti di qualsiasi tipo concessi a imprese con sede in Italia, fino ad un massimale di € 200 miliardi, di cui € 30 miliardi destinati a supporto delle PMI e dei lavoratori autonomi.

La garanzia di SACE S.p.A. verrebbe ad essere prestata nei confronti di quelle imprese che, al 23 febbraio 2020, non risultassero presenti tra le esposizioni deteriorate del sistema bancario e che, al 31 dicembre 2019, non rientrassero nella categoria delle “imprese in difficoltà” secondo la disciplina europea in materia. Sul punto si precisa che, sebbene non esista una definizione comunitaria di “impresa in difficoltà”, un recente orientamento della Commissione Europea sembrerebbe ritenere che un’impresa sia in difficoltà quando essa non sia in grado, con le proprie risorse o con le risorse che può ottenere dai proprietari/azionisti o dai creditori, di contenere perdite che, in assenza di un intervento esterno delle autorità pubbliche, la condurrebbero quasi certamente al collasso economico, nel breve o nel medio periodo. Premesso quindi che risulta necessario esaminare la specifica situazione economico-finanziaria della società per poter valutare se la stessa possa essere considerata “impresa in crisi”, per semplicità si può ritenere che rientrino in tale definizione quei soggetti che hanno la necessità di fare ricorso ad una qualsiasi procedura concorsuale di ristrutturazione del debito.

  1. Quanto agli altri requisiti previsti per il ricorso a questa particolare garanzia prestata da SACE S.p.A., l’art. 1 del Decreto Liquidità stabilisce che essa debba rilasciata entro e non oltre il 31.12.2020, per finanziamenti di durata non superiore a 6 anni (con possibilità per le imprese di avvalersi di un preammortamento di massimo 24 mesi).

 

L’importo garantito non può superare il maggiore tra i seguenti importi:

o   25% del fatturato annuo dell’impresa relativi al 2019, come risultante dal bilancio ovvero dalla dichiarazione fiscale;

o   il doppio dei costi del personale dell’impresa relativi al 2019, come risultanti dal bilancio ovvero da dati certificati se l’impresa non ha approvato il bilancio (qualora l’impresa abbia iniziato la propria attività successivamente al 31.12.2018, si fa riferimento ai costi del personale attesi per i primi due anni di attività);

 

I prestiti saranno garantiti da SACE S.p.A. e contro-garantiti dallo Stato al 90% per imprese con meno di 5.000 dipendenti in Italia e con fatturato fino a € 1,5 miliardi e al 70-80% per le grandi imprese con numero di dipendenti o fatturato superiore. Il finanziamento coperto da garanzia, tuttavia, deve essere destinato esclusivamente a sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività site in Italia. 

La garanzia prestata da SACE S.p.A. è a prima richiesta, esplicita ed irrevocabile e copre i nuovi finanziamenti, concessi a far data dal 9.04.2020, per capitale, interessi ed oneri fino all’importo massimo garantito.

  1. Per ottenere la suddetta garanzia, ciascuna impresa, al momento di avanzare la relativa richiesta, deve assumersi l’impegno (i) di gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali; e (ii) che essa, nonché ogni altra impresa con sede in Italia appartenente al medesimo gruppo, non approvi la distribuzione di dividendi o il riacquisto di azioni nel corso del 2020.

 

L’art. 1 Decreto Liquidità e la circolare ABI del 9.4.2020 hanno stabilito che le imprese con meno di 5.000 dipendenti e con fatturato fino a € 1,5 miliardi possano ottenere il finanziamento garantito dalla SACE S.p.A. con procedimento semplificato. In pratica, l’impresa dovrà richiesta di un finanziamento garantito direttamente all’istituto di credito di propria fiducia, il quale una volta approvato con delibera positiva il finanziamento, inserirà la richiesta di garanzia sul portale online di SACE S.p.A. Effettuata la propria istruttoria, SACE S.p.A., assegna al finanziamento un codice unico identificativo (cd. “CUI”), comprovante l’emissione della garanzia. Ottenuto il CUI, l’istituto di credito erogherà il finanziamento richiesto, garantito da SACE S.p.A. Per le imprese con più di 5.000 dipendenti o con fatturato superiore a € 1,5 miliardi è invece previsto che il rilascio della garanzia e le sue specifiche condizioni vengano deliberate direttamente dal Ministero dell’Economica, sulla base dell’istruttoria svolta da SACE S.p.A.

Si segnala che, mentre parrebbe da escludere che il credito di regresso che SACE S.p.A. (e così anche quello del Fondo Garanzia per le PMI, di cui si accennava sopra) vanterà nei confronti dell’impresa, una volta che l’istituto di credito abbia escusso la garanzia, possa essere di norma assistito da privilegio (cfr. Trib. Udine, 22.2.2017), si potrebbe al contrario prospettare la sussistenza del privilegio speciale di cui all’articolo 9, co. 5, d.lgs. n. 123 del 1998 laddove SACE – evidentemente dopo aver effettuato il pagamento in qualità di garante in favore della banca – ritenga nondimeno doversi procedere alla revoca della garanzia (ad esempio ritenendo, con successiva valutazione, che ab origine non sussistessero i requisiti per il rilascio della stessa; tale pare essere la conclusione cui è addivenuta una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass., 30 gennaio 2019, n. 2664), ove si legge: “la revoca del sostegno pubblico concesso per lo sviluppo delle attività produttive, deliberata ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 123 del 1998, non importa alcuna valutazione discrezionale ed è opponibile alla massa dei creditori, anche se intervenuta dopo che il beneficiario abbia proposto domanda di concordato fallimentare e lo stesso sia stato pure omologato, perché il provvedimento di revoca si limita ad accertare il venir meno di un presupposto previsto in modo puntuale dalla legge, senza che l’atto di revoca possegga alcuna valenza costitutiva”.

 

Ulteriori misure di sostegno finanziario in favore delle imprese

  1. Si segnala che, in aggiunta agli strumenti di immissione di liquidità di cui al precedente paragrafo, ai sensi dell’art. 56 del decreto Cura Italia, le microimprese e le piccole e medie imprese (ovvero le imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera € 50 milioni, o il cui totale di bilancio annuo non supera € 43 milioni) possono beneficiare anche di ulteriori misure di sostegno finanziario con riferimento ai propri debiti verso istituti di credito ed intermediari finanziari.

 

In particolare, le aperture di credito a revoca e i prestiti accordati a fronte di anticipi su crediti esistenti alla data del 29 febbraio 2020 o, se superiori, a quella del 17 marzo 2020, non possono essere revocati, in tutto o in parte, fino al 30 settembre 2020, e ciò sia per la parte utilizzata, che per quella inutilizzata. 

I prestiti non rateali con scadenza prevista per una data antecedente al 30 settembre 2020 sono automaticamente prorogati, senza necessità di formalità alcuna, fino a tale data.

Per i mutui ed i finanziamenti a rimborso rateale (ivi compresi i canoni di leasing) è stato invece previsto che il pagamento di tutte le rate in scadenza prima del 30 settembre 2020 è sospeso fino al 30 settembre stesso ed il loro rimborso è dilazionato, senza formalità e con modalità tali da non comportare nuovi o maggiori oneri per le parti. Volendo, le imprese possono richiedere all’istituto finanziatore che sia sospeso soltanto il pagamento degli importi dovuti in linea capitale, continuando quindi a corrispondere regolarmente le somme maturate a titolo di interessi.

  1. Hanno diritto a tali misure di sostegno, previste dall’art. 56, tutte le microimprese e le piccole e medie imprese le cui esposizioni debitorie non siano già state classificate dall’istituto finanziatore come “esposizioni creditorie deteriorate” prima della pubblicazione del decreto Cura Italia.

 

E’ dunque corretto ritenere che l’eventuale “semplice” morosità esistente alla data di pubblicazione del Decreto Cura Italia non sia dunque preclusiva alla fruizione dei benefici, quando essa non integri – lato Banca – i presupposti del “credito deteriorato” ossia, seguendo la classificazione adottata dalla Banca d’Italia in applicazione del Regolamento UE 227/2015, del debito a sofferenza o comunque scaduto e sconfinante per oltre 90 giorni.

La norma non prevede particolari formalità al fine di fruire di tali misure, essendo sufficiente apposita comunicazione da indirizzarsi all’istituto finanziatore, con la quale l’impresa autocertifica (ai sensi dell’art. 47 del DPR 445/2000) di aver subito temporanee carenze di liquidità quale conseguenza diretta della diffusione dell’epidemia COVID-19.

Successivamente l’ABI, con circolare del 24 marzo 2020, ha precisato – a nostro avviso andando oltre quanto previsto dalle norme – che, nell’ambito della predetta comunicazione, l’impresa debba altresì auto-dichiarare espressamente, oltre (i) ad averaccusato una carenza di liquidità, anche (ii) di soddisfare i requisiti per la qualifica di micro, piccola o media impresa, (iii) di essere consapevole delle conseguenze civili e penali in caso di dichiarazioni mendaci, altresì (iv) individuando gli specifici rapporti per i quali la richiesta di moratoria viene presentata.

  1. Si segnala come, da quanto si è potuto osservare, gli istituti di credito abbiano predisposto propri moduli, da far compilare alle imprese, per l’accesso ai benefici di recente introduzione, moduli che tuttavia spesso si allontanano da quanto previsto dalle norme, ad esempio subordinando alla valutazione dell’intermediario la concessione dei benefici, che al contrario formano oggetto di un preciso diritto potestativo dell’impresa.

 

Si consiglia, dunque, di far accompagnare l’invio del modulo ad una dichiarazione, conforme al testo della norma, con il quale l’impresa dichiara di volersi avvalere di tutti i benefici previsti, nella loro massima ampiezza.

Ugualmente, per quanto concerne i rapporti di anticipo su fatture, ci sono stati segnalati addebiti di insoluti effettuati successivamente all’invio della predetta dichiarazione, condotta contestabile potendo essa essere qualificata, a seconda dei casi, come parziale revoca dell’affidamento.  

Il consiglio è dunque quello di monitorare costantemente i rapporti bancari, al fine di individuare tempestivamente, e segnalare all’intermediario, ogni allontanamento dai benefici previsti dalla normativa emergenziale.

  1. Con lo scopo di semplificare i rapporti con gli istituti di credito, viste le limitazioni alla libertà di movimento adottate per contrastare il diffondersi della pandemia, il Decreto Liquidità ha anche inteso favorire la conclusione di contratti bancari a distanza (art. 2 Decreto Liquidità) e sospendere i termini per la messa all’incasso dei titoli di credito per il periodo che va dal 9.3.2020 al 30.4.2020 (art. 11 Decreto Liquidità).

 

Sotto questo ultimo profilo, si segnala che risultano sospesi dal 9.3.2020 al 30.4.2020 anche i termini per la levata del protesto e delle contestazioni equivalenti e che, per il medesimo periodo, tali provvedimenti non possono essere pubblicati in Camera di Commercio (e se pubblicati devono essere cancellati d’ufficio dalla Camera di Commercio).

 

Misure a sostegno della continuità aziendale

  1. Per favorire la continuità aziendale ed evitare la messa in liquidazione o, peggio ancora, il fallimento delle imprese danneggiate dall’emergenza COVID-19, il Governo ha apportato una serie di modifiche (temporanee) al codice civile e alla legge fallimentare, tra le quali si segnalano le seguenti.
  1. Prima di tutto, l’art. 6 del Decreto Liquidità prevede che per le fattispecie, aventi ad oggetto la perdita del capitale sociale, verificatesi, a partire dal 9 aprile 2020, nel corso degli esercizi chiusi entro il 31.12.2020, non troverà applicazione la disciplina in punto di riduzione del capitale, ricapitalizzazione o trasformazione della società (artt. 2446, co. 2 e 3, c.c., 2447 c.c. 2482 –bis, co. 4, 5 e 6, c.c. e art. 2482-ter c.c.) Inoltre, sempre dal 9.4.2020 al 31.12.2020, non opera la causa di scioglimento per riduzione o perdita del capitale sociale, di cui agli artt. 2484, co. 1, n. 4, c.c. e 2545-duodecies c.c.
  1. Al fine di favorire l’apporto di liquidità da parte dei soci, è previsto che per i finanziamenti soci effettuati dal 9.4.2020 al 31.12.2020 non trovino applicazione le norme sulla postergazione dei relativi rimborsi di cui agli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c.
  1. Vengono poi prorogati, a norma dell’art. 9, co. 1, Decreto Liquidità, di sei mesi i termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall., già omologati e aventi scadenza nel periodo che va dal 23.2.2020 al 31.12.2021.

 

Inoltre, nei procedimenti volti all’omologazione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall., pendenti al 23.3.2020 è possibile chiedere al Tribunale un termine di 90 giorni (non prorogabile) per depositare un nuovo piano e una nuova proposta di concordato ovvero un nuovo accordo di ristrutturazione. La relativa istanza può essere presentata fino all’udienza fissata per l’omologa, ma è inammissibile qualora si sia già tenuta l’adunanza dei creditori e la stessa abbia avuto esito negativo, non essendo state raggiunte le maggioranze previste dall’art. 177 l. fall. 

E’ anche possibile modificare i soli termini di adempimento previsti dal piano, differendoli di un massimo di 6 mesi, mediante il deposito di una memoria contenente l’indicazione dei nuovi termini e la documentazione comprovante le circostanze che hanno reso necessario il differimento.

Una proroga di 90 giorni può essere ottenuta anche con riferimento ai termini concessi ex artt. 161, co. 6, l. fall. e 182-bis, co. 7, l. fall. Tale ulteriore proroga può essere concessa anche qualora risulti pendente un’istanza di fallimento nei confronti della società istante. In ogni caso, la società istante deve dimostrare che la proroga si rende necessaria in ragione di eventi sopravvenuti legati all’emergenza COVID-19.

  1. Sono, poi, dichiarati improcedibili, ai sensi dell’art. 10 Decreto Liquidità, i ricorsi per l’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza (art. 195 l. fall.), e quelli per la dichiarazione di fallimento ex art. 15 l. fall., fatta eccezione soltanto per quelle istanze presentate dal Pubblico Ministero, nelle quali esso abbia chiesto l’applicazione dei provvedimenti cautelari o cautelativi, a tutela dell’integrità del patrimonio dell’impresa, di cui all’art. 15, co. 8, l. fall.
  1. A titolo informativo, si segnala infine che l’entrata in vigore del cd. Codice della Crisi, prevista per agosto 2020, è stata differita per ragioni di opportunità al 1.09.2021.

 

Rapporti con il fisco 

  1. I recenti provvedimenti hanno infine cercato di fornire un sollievo ai contribuenti nei rapporti con fisco. Più in particolare sono state previste le seguenti misure:
  • la sospensione dei termini dei processi tributari dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 (art. 83 del D.L. n. 18/2020);
  • la sospensione delle attività di controllo e accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria dall’8 marzo 2020 al 31 maggio 2020 (art. 67 del D.L. n. 18/2020): si segnala che, in “cambio” di questa sospensione di due mesi e mezzo, il legislatore ha prorogato gli ordinari termini di controllo per l’amministrazione di ben due anni;
  • la sospensione delle attività di riscossione coattiva da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione fino al 31 maggio 2020 (art. 68 del D.L. n. 18/2020);

la facoltà di sospensione dei versamenti di imposte, tributi, e contributi, secondo un articolato regime che diversifica le varie attività economiche a seconda del volume d’affari (superiore o inferiore a 2 milioni di Euro: art. 62 del D.L. n. 18/2020), dell’attività svolta (art. 8 del D.L. n. 9/2020 e art. 61 del D.L. n. 18/2020) e della sede (in zone rosse o altrove). Per chi decida di provvedere egualmente ai versamenti sebbene rientri in una delle fattispecie per le quali essi p ossono essere sospesi, è prevista la possibilità di essere segnalati come benemeriti sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanza (art. 71 del D.L. n. 18/2020): ciò permette di coniugare, a chi sia nelle condizioni economiche che lo consentono, una possibilità di sostegno “rafforzato” alla spesa sanitaria in un momento di particolare bisogno per le casse erariali e un ritorno in termini di immagine di fronte alla collettività;

  • misure di sostegno all’attività, come il sopra menzionato credito d’imposta per le locazioni di botteghe e  negozi, il credito d’imposta a copertura de 50% delle spese sostenute per la sanificazione dei locali di svolgimento dell’attività (art. 64 del D.L. n. 18/2020), la deducibilità delle liberalità effettuate per fronteggiare l’emergenza sanitaria (art. 66 del D.L. n. 18/2020).

 

  1. Sul piano generale, a fronte delle più frequenti domande insorte, l’Agenzia delle Entrate ha già fornito alcuni chiarimenti specificando che:
  • seppure non espressamente previsto dai decreti, devono ritenersi sospesi fino al 15 aprile anche i termini del procedimento di accertamento con adesione (cfr. circ. n. 6/E/2020), ferma restando la possibilità per il contribuente di proseguire il procedimento per via telematica senza avvalersi della sospensione. Al riguardo, si segnala che la circolare n. 6/E/2020 ha specificato quanto segue: “non è interessato dalla sospensione in argomento il termine (previsto dall’articolo 8 del d.lgs n. 218 del 1997) di “venti giorni dalla redazione dell’atto di cui all’articolo 7” entro cui versare le somme dovute per effetto dell’accertamento con adesione”. Trattasi di interpretazione erronea ed iniqua che, tuttavia, si consiglia di seguire allo stato dell’evoluzione della disciplina in materia;
  • seppure non espressamente previsto dai decreti, devono ritenersi sospesi fino al 15 aprile anche i termini per prestare acquiescenza agli accertamenti esecutivi (cfr. circ. n. 5/E/2020).